Tartufo proclamato patrimonio dell’Unesco
Dopo i Paesaggi vitivinicoli di Langhe Roero-Monferrato, la Dieta Mediterranea, la vite ad alberello di Pantelleria, l’arte del pizzaiolo napoletano, o la transumanza, ora anche la l’affascinante e misteriosa ricerca del tartufo diventa patrimonio dell’intera Umanità.
L’Italia, infatti, ha ottenuto un nuovo prestigioso riconoscimento da parte dell’Unesco, grazie all’iscrizione della “Cerca e cavatura del tartufo in Italia: conoscenze e pratiche tradizionali” nella Lista rappresentativa del Patrimonio Culturale Immateriale.
L’ingresso del tartufo tra i patrimoni dell’umanità è un passo importante per difendere un sistema segnato da uno speciale rapporto con la natura in un rito ricco di aspetti antropologici e culturali. Una tradizione determinante per molte aree rurali montane e svantaggiate, anche dal punto di vista turistico e gastronomico
Il tartufo è un fungo che vive sottoterra e è costituito in alta percentuale da acqua e da sali minerali assorbiti dal terreno tramite le radici dell’albero con cui vive in simbiosi. Nascendo e sviluppandosi vicino alle radici di alberi come il pino, il leccio, la sughera e la quercia, spiega la Coldiretti, il tartufo, deve le sue caratteristiche (colorazione, sapore e profumo) proprio dal tipo di albero presso il quale si è sviluppato. La forma, invece, dipende dal tipo di terreno: se soffice il tartufo si presenterà più liscio, se compatto, diventerà nodoso e bitorzoluto per la difficoltà di farsi spazio.
I tartufi sono noti per il loro forte potere afrodisiaco e in cucina. Oggi le specie commestibili in Italia sono nove, ma il bianco (Tuber Magnatum Pico) rimane il più prestigioso e va rigorosamente gustato a crudo su noti cibi come la fonduta, i tajarin al burro e i risotti e, per quanto riguarda i vini, va abbinato con i grandi rossi Made in Italy.
L’arte della ricerca del tartufo coinvolge in Italia una rete nazionale composta da circa 73.600 detentori e praticanti, chiamati tartufai, riuniti in 45 gruppi associati nella Federazione Nazionale Associazioni Tartufai Italiani (FNATI), da singoli tartufai non riuniti in associazioni per un totale di circa 44.600 unità e da altre 12 Associazioni di tartufai che insieme all’Associazione Nazionale Città del Tartufo (ANCT) coinvolgono circa 20.000 liberi cercatori e cavatori.
Una vasta comunità, distribuita nei diversi territori regionali italiani, che coinvolge in prima battura la coppia cavatore-cane in un rapporto armonico tra il cavatore e la natura che è alla base della trasmissione di conoscenze e tecniche legate alla cerca e cavatura individuate come una pratica sostenibile. Mentre in ambito famigliare è ancora il singolo tartufaio più anziano, nonno o padre, che insegna alle nuove generazioni i segreti, gli accorgimenti, i luoghi e le tecniche della cerca e della cavatura.
Il tartufo è quindi territorio, ma anche comunità, impresa e valore. Valori dei territori rurali e montani del Paese. Dal bianco, al nero, allo scorzone, dalla Langa fin giù all’Appennino, la cerca del tartufo patrimonio Unesco sarà strumento per i territori nella ripartenza. Sono 14 le regioni Italiane dove si trova il prezioso tubero e vengono coinvolti numerosi comuni, anche di aree interne, paesi e città del tartufo.
Dal Piemonte alle Marche, dalla Toscana all’Umbria, dall’Abruzzo al Molise, ma anche nel Lazio e in Calabria sono numerosi i territori battuti dai ricercatori. La ricerca dei tartufi praticata già dai Sumeri, svolge una funzione economica a sostegno delle aree interne boschive dove rappresenta una importante integrazione di reddito per le comunità locali, con effetti positivi sugli afflussi turistici come dimostrano le numerose occasioni di festeggiamento organizzate in suo onore.
Il Piemonte, soprattutto nella zona delle Langhe, Monferrato e Roero, è terra di tartufi e, in primis, Alba ha avuto un ruolo importante nel supportare la presentazione del dossier. La Fiera del Tartufo Bianco, che si tiene ogni anno per 8 weekend d’autunno nella ‘capitale’ delle Langhe, è l’evento più rilevante a livello nazionale e internazionale nella valorizzazione del tartufo: non si limita a venderlo, quanto piuttosto si occupa di proporre esperienze intorno a questo mondo, creando fascino e mistero e offrendo momenti unici da vivere, come testimoniato da Liliana Allena, presidente dell’ente Fiera internazionale del Tartufo bianco d’Alba.
Città di Castello è un’altra zona di tartufo bianco, con una produzione tartufigena in ogni periodo dell’anno. Letizia Guerri, assessore tifernate al Turismo e Commercio, sostiene che i dati, già da anni, dicono che questo comune è ai primi posti a livello nazionale per quantità di tartufai, oltre al numero e qualità dei cani specializzati nella ricerca. Ecco, quindi, la necessità che il grande patrimonio riconosciuto dall’Unesco sia costantemente centrale nello sviluppo turistico ed economico della città, anche a partire dalla prossima edizione della Mostra del Tartufo di Città di Castello, che ha superato le 40 edizioni.
In Umbria, l’inverno è il momento ideale per degustare il tartufo nero pregiato Umbro che si raccoglie proprio tra dicembre e gennaio. Il piccolo gioiello sospeso nel tempo, da scoprire in un percorso lento tra natura, storia e arte, organizza un’esclusiva caccia al tartufo con il cavatore e il suo fidato cane. Per il rilancio dei territori di Norcia e della Valnerina è quanto mai importante puntare su prodotti autentici come il tartufo nero pregiato, simbolo identitario di appartenenza, autenticità, storia e tradizione che contraddistinguono quelle Comunità.
Se si parla di tartufo in Toscana, non si può citare Montespertoli (FI) chiamata anche Città del tartufo e San Miniato (PI), dove la Fondazione San Miniato Promozione, organizza annualmente la tradizionale Mostra Mercato del Tartufo Bianco delle Colline Sanminiatesi, dedicata al prezioso tubero, il cui valore ha raggiunto quest’anno i 6mila euro al kg.
Tra le bellissime terre dell’Appennino molisano-abruzzese, ci si può dedicare alle visite guidate per conoscere da vicino il re dei boschi e partecipare a deliziose degustazioni. Qui si può visitare anche il Museo del Tartufo a San Pietro Avellana (IS) con sezioni multimediali e multisensoriali. (Tel. 0865946820).
In Emilia-Romagna, anche il territorio modenese, sul suo Appennino, vede crescere buonissimi tartufi neri. Nei boschi della Valtaro, in provincia di Parma, fino a marzo, “Una giornata da tartufaio” è l’indimenticabile escursione alla ricerca del diamante del sottosuolo. Accompagnati da una Guida Ambientale Escursionistica, con l’ausilio del cane da cerca, i partecipanti imparano a individuare, raccogliere e perfino pulire e cucinare il tartufo nero. (Tel. 3482885159).
Meno conosciute per la produzione di tartufo, la Lombardia, che rientra nel riconoscimento con i territori tartufigeni dell’Oltrepò pavese e del Mantovano, autentiche miniere del rinomato fungo ipogeo, bianco e nero e la Liguria, con Millesimo, comune dell’entroterra savonese, che ospita ogni anno la festa nazionale del tartufo.
Ancora di nicchia, ma in crescita la tartuficoltura e la vendita di piante in vivai specializzati e centri di ricerca con radici micorizzate per avvio della coltura.
Questo riconoscimento servirà quindi anche a tutelare saperi e conoscenze della tradizione dei tartufai italiani, un patrimonio collettivo, prezioso anche per le generazioni future, che va ben oltre il valore del prodotto in sé.
Il business che ruota intorno al tartufo, ancora oggi è difficile misurare, anche se la Coldiretti lo stima a oltre mezzo miliardo di euro, quello che è certo, è che da ora parte la vera sfida per la valorizzazione del tartufo e della cavatura.